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Non devo dimostrare niente.

Da giorni capivo che stava per arrivare lo scontro.
Io non sono una da scontri, capiamoci. Io sono una che pur di non scontrarsi, molla. A me, di fare battaglie non va proprio. Vuoi vincere? Vinci.

E’ successo che io abbia suggerito ad una delle top (poi cercheremo di capire perché top…) SMM italiane che le sue grafiche social andassero rifatte. E per suggerirglielo le ho dato indicazioni prima di fare il lavoro, le ho comunicato verbalmente cosa mi sembrava poco in linea con la mia immagine aziendale, e poi… le ho rifatto i template.

Perché l’ho fatto? Perché il suo lavoro era graficamente banale, vecchio e soprattutto non in linea con il look & feel dell’azienda e quindi con i suoi obiettivi di comunicazione.

Premesso questo, lei si è scaldata.

Ne è uscito un email in cui scrive che non le era mai accaduto in quindici anni di lavoro che qualcuno le rifacesse il lavoro e chiede se io “devo dimostrare qualcosa a qualcuno”.

No, non devo dimostrare niente, ma ho delle competenze, esperienza, e sono in grado di giudicare un lavoro “vecchio”.

Scrivo questo post per futura memoria su una tizia che non stimo e per chiedere: come si fa a far emergere che una “professionista stimata” non ha motivo di esserlo? O non più, per lo meno?

Il fatto che sia seguita dalla massa di giovani che ancora devono imparare è un motivo per affermare che sia una guru? Secondo me è un motivo per affermare che è una brava imprenditrice, ma non necessariamente che sia un eccellente grafico.

La conosco da anni, leggo i suoi lavori e la trovo mediocre. Capisco che possa interessare un target di persone dalla competenza media, il genere che segue il TG5, ma io punto a chi guarda Rai5.
E in una situazione in cui lei s’offende e aziendalmente si decide anche di dargliela vinta, perché lei è famosa, mi piacerebbe che ci fosse il modo di far emergere la sua grossolaneria. Ma non so come.

Un commento

  1. syd syd

    Si potrebbe e probabilmente sarebbe anche semplice, per non dire, ovvio, far emergere i limiti già macroscopici di certi individui. Lo sarebbe in un mondo diverso in cui domina il reale merito, anziché questo, in cui tiranneggia la retorica della meritocrazia. Un mondo – questo – dove spesso chi ha più voce in capitolo fa vibrare le sue corde vocali per far gracchiare la propria supponenza, o per alimentare il proprio ego già obeso, spesso attraverso un lessico sciatto, utile a costruire concetti ancor più poveri e desolanti. Un mondo – questo – dove verità grosse e gonfie come palloni aerostatici non solo non volano, ma addirittura non galleggiano; e bisogna ingegnarsi su come aiutarli a far sì che emergano.

    E pazienza se sto generalizzando e forse sono andato un pelino fuori tema, Ro. A parlare sono certamente io, ma anche questa mia stanchezza atavica verso una contemporaneità in cui il denaro sembra legittimare anche il più sgraziato dei paradossi, o la più sfacciata delle bugie. Ovvero, un mondo in cui la ragione è una specie di merce raffinata ed appropriarsene, sempre più spesso, sono coloro che producono o accumulano ricchezza, anche o soprattutto quando hanno torto da fare schifo. E personalmente questa tendenza tende a farmi abbastanza schifo, appunto. Così come provo una profonda avversione verso coloro i quali la rappresentano, la incarnano, la ingigantiscono.

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