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La reputation in ufficio

Nel messaggio che compare sotto l’icona di uno dei miei contatti c’è scritto: “Si no hablan mal de ti, deberias preocuparte: la envidia es el homenaje que la mediocridad le brinda el exito!“.
Traduzione: Se non parlano male di te, dovresti preoccuparti: l’invidia è l’omaggio che la mediocrità ti dà successo.

La scritta è in spagnolo perché lui parla spagnolo, ha una moglie su americana.  Trovo l’informazione inopportuna perché condivide un pensiero intimo, tuttavia la trovo perfetta per questa azienda in cui le persone passano il tempo a parlare di altre persone.

Da qualche settimana l’area cubicolo in cui è posizionata la mia scrivania è stata diversamente popolata: adesso intorno a me siedono dei colleghi. La precedente circostanza di trovarmi accanto a delle persone sconosciute e silenziose non mi dispiaceva affatto: personalmente infatti apprezzo il rigore di chi la mattina arriva presto, si alza poco dalla scrivania, parla quel che serve e ha abilità di sintesi.

Tuttavia da qualche settimana la situazione è cambiata.
Sono in tre: una donna e due uomini. Arrivano tardi, vanno via presto. Di mezzo ci sono le loro chiacchiere.
Parlano male di tutti. Non si salva nessuno. Non la scampano neppure loro stessi, perché uno con l’altro parlano male degli assenti.

Essendo portata per le statistiche, nonché essendo parte del mio lavoro ultimamente, ho iniziato a far caso al modo in cui interagiscono tra loro nel parlare delle altre persone.

Definizione del gruppo

Prima di tutto ho identificato alcune caratteristiche che accomunano i soggetti: sono profondamente convinti di essere eccezionalmente capaci e di produrre risultati straordinari o forse unici. Nessun attestato scolastico o lavorativo sopra la media è presente nei loro cv, tuttavia qualcuno o qualcosa gli fa credere di essere migliori di tutti quelli che lavorano con loro. Inoltre hanno un udito particolarmente fino, sempre all’erta per cogliere qualsiasi cosa. Qualsiasi.

Ho sentito uno di loro affermare, ridacchiando con compiacimento, che non può frequentare la mensa aziendale perché si sente un pezzente ad usare i buoni pasto. Lavora a partita i.v.a. e non ha alcuna azienda che gli fornisce i suddetti.
La stessa persona ritiene anche che siano ugualmente miserabili coloro che prendono il resto di dieci centesimi, se ordinano un caffé al bar pagando un costo di novanta centesimi con una moneta da un euro.

Ho sentito la donna del gruppo acconsentire ad ogni parola di questo discorso, ridacchiando assertiva e giuliva. Con fine statistico ho notato che manifesta questo comportamento ogni qual volta si trova in piccoli gruppi di persone. Rimane invece inespressiva e catatonica durante qualsiasi interminabile riunione su Skype, ove la mimica del volto per altro potrebbe aiutare.

Il terzo è il bestemmiatore. Benché la giovane età, la recente paternità, la laurea e il lavoro a poca distanza da casa dovrebbero renderlo solare, raramente l’ho sentito commentare qualcosa senza pungente, ironico, negativo sarcasmo.

Sia chiaro, io amo il sarcasmo, ma anche Dio al settimo giorno s’è riposato!

Caratteristiche delle maldicenze

Ho notato che la modalità con cui iniziano a parlare male degli altri é paragonabile alla pausa sigaretta: almeno una volta ogni ora e mezza e dura tre o quattro minuti. Generalmente c’è un istigatore (in marketing forse lo avrebbero chiamato precursore o anticipatore del trend) e gli altri seguono.
Se c’è una corrispondenza in corso con soggetti terzi, meglio: si potrà parlare male in streaming o piuttosto si potrà riferire male agli altri della persona con cui si sta conversando.

La critica dei miei colleghi è rivolta a tutti, ma alcuni meritano di più, in particolare quelli con cui hanno più stretti contatti: la donna verso di me, gli uomini verso il loro capo.  Il fatto di ricevere compiacimento dagli altri membri del gruppo, accresce il loro sentirsi unici e pompa ulteriori maldicenze.
Hanno coniato aggettivi partendo dal cognome del collega giudicato pigro: una persona, un momento, un oggetto sono “Pinelli”(* nome inventato), intendendo con questo che è un uomo fastidioso, che è un’ora lenta, che è un oggetto orripilante.
Ogni nome di persona è accompagnato da un aggettivo: “il tuo amico” oppure “quel genio di uomo di….” e descrivono con iperboli ogni lavoro richiesto: sembra che debbano scalare vette altissime e scivolose in ogni momento, che gli sforzi siano immani, che gli straordinari siano tantissimi, lo spamming nei loro confronti spropositato.

Il loro abituale commento per un ringraziamento? “Grazie, Graziella e grazie al ca**o“.
Talvolta canticchiano dopo una telefonata. La canzoncina è quella della sigla del circo, volendo alludere che chi ha a che fare con loro è un buffone.

Dopo queste premesse vorrei quindi tornare alla scritta sotto l’iconcina di A. per giungere alla conclusione della mia personale riflessione.

Se non parlano male di te, dovrei preoccuparmi? Personalmente no. Per essere maggiormente chiara, io francamente me ne infischio. Mi occupo della mia “reputation” solo se le persone coinvolte sono per me di interesse. Se esse invece mi sono indifferenti, se non possono influenzare l’opinione di altri che per me sono importanti, allora qualsiasi loro comportamento non è per me degno di attenzione.

E l’invidia è l’omaggio che la mediocrità ti dà successo?
Anche in questo caso dissento. La frase mi pare piuttosto la consolazione che qualcuno vuole darsi ad un fastidio subito. Mi piace tuttavia il collegamento tra parlare male e mediocrità, perché sicuramente chi fa non ha tempo per perdersi in commenti da sciacquette.

Nella quotidianità del dover avere a che fare con un continuo chiacchiericchio negativo ho tratto alcune considerazioni:

  • la professionalità non ammette comportamenti di continua distrazione e maldicenza
  • l’ambiente lavorativo non è il bar dove si guarda la partita
  • la mediocrità, intesa come limitatezza spirituale o morale, ben si accosta a chiacchiere e pettegolezzi
  • un cattivo esempio è talvota aiuto per migliorarsi: ogni giorno dico a me stessa (non sempre riuscendoci) di tenermi lontana da certi atteggiamenti.

Parliamone.

 

 

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